Monty Roberts è stato tra i primi a sperimentare nuove e più civili modalità di approccio ai cavalli e ai problemi che quotidianamente si devono affrontare.
L’espressioni “equitazione naturale” e “sussuratore” si sono affermate con forza in questi anni per via di una favorevole congiuntura che ha visto i cavalli al centro dell’interesse originato dal film “L’uomo che sussurrava ai cavalli” di Robert Redford, provocando una vera e propria «follia collettiva» nei confronti della doma naturale. Le tecniche di addestramento che si basano su queste filosofie di addestramento sono in realtà un po’ più complesse e richiedono tempi un po’ più lunghi di quanto la maggior parte delle persone immaginino. Monty Roberts è stato tra i primi addestratori a sperimentare tecniche di addestramento che disciplinavano il cavallo attraverso il lavoro, e mai usando la forza; successivamente, sviluppò il suo metodo osservando e studiando branchi di mustang selvaggi in Nevada. Tale lavoro gli ha permesso di osservare che gli unici suoni che si sentono in un branco sono quelli legati alla riproduzione: quelli dello stallone che vuole cacciare un altro maschio dal gruppo o che vuole attrarre la femmina e quelli della femmina che manifesta allo stallone il suo disinteresse o che richiama il puledro. Con il passare degli anni, Roberts ha decodificato questo linguaggio composto «da più di 170 frasi» denominandolo Equus. Inoltre, avendo notato che gli unici obiettivi nella vita di un cavallo sono la riproduzione e la sopravvivenza; era di vitale importanza apprendere il linguaggio dei predatori.
L’uomo è visto dal cavallo proprio come un predatore, perciò guardare il cavallo dritto negli occhi, porsi con l’asse delle spalle frontale rispetto ad esso o allargare il braccio e aprire le dita in modo da richiamare quelle della zampa di un felino con gli artigli sfoderati possono essere recepiti come una minaccia proveniente da un predatore che abbia avvistato la sua preda e si prepari ad aggredirla. Viceversa rivolgere lo sguardo in basso, chiudere le braccia e i pugni sono atteggiamenti rassicuranti in quanto richiamano quelli di un felino che riposa e che non assume atteggiamenti aggressivi. La tecnica di Monty Roberts da lui stesso definita Join-Up (associazione) si basa sul fatto che i cavalli sono animali predati; essa prevede il tentativo di instaurare un “dialogo” tra uomo e cavallo adottando un insieme di principi che utilizzano atteggiamenti analoghi a quelli che userebbero i cavalli se fossero allo stato brado, allo scopo di convincerli che sono liberi di scegliere volontariamente se cooperare con gli uomini o meno. Monty Roberts spiega che il Join-Up deve avvenire al centro del tondino perché tale struttura garantisce all’uomo un ambiente sicuro e controllato per iniziare il lavoro di doma dal momento che, quando un puledro sdomo entra nel tondino, si rende conto di entrare in un mondo sconosciuto e quindi il livello della sua adrenalina sale. Nella prima fase, di allontanamento, l’addestratore si pone al centro del tondino e, assumendo la postura di un predatore induce il cavallo a fuggire verso la periferia. In natura, spiega Roberts, «i cavalli hanno una distanza di fuga che va dai 400 ai 600 metri», continuare a correre significherebbe esaurire le energie e quindi una volta raggiunta tale distanza «in genere si sentono pronti a trattare con il loro predatore».
L’addestratore continua a far fuggire il cavallo da sé continuando a farlo girare lungo il perimetro del tondino; in questo frattempo il cavallo incomincia a mandare segnali di negoziazione (segnali che sono stati rilevati e fanno parte del linguaggio Equus). Il primo di tali segnali è, in genere, il movimento dell’orecchio interno che si rivolge verso l’addestratore, poi compie circoli sempre più piccoli, quindi con la bocca simula movimenti di masticazione e tira fuori la lingua come se leccasse infine abbassa la testa fino quasi a toccare per terra con il naso. Una volta ottenuti questi segnali, l’addestratore cessa di assumere l’atteggiamento di sfida e distogliendo lo sguardo dal cavallo e girandosi con le spalle in modo da formare un angolo di 45 gradi con l’asse del suo corpo gli comunica che può avvicinarsi. Roberts consiglia di stare immobile mentre il cavallo si avvicina e allunga il muso arrivando spesso a dare un leggero colpettino da dietro: ciò significa che il cavallo ha accettato l’addestratore raggiungendo con lui il Join-Up. A questo punto, conservando sempre la postura non aggressiva, ovvero sguardo basso verso i suoi anteriori, spalle curve, dita serrate e polso piegato, lo si raggiunge e lo si accarezza fra gli occhi. Questo è il modo di ringraziarlo per averci scelto. In genere dopo qualche secondo di carezze, se ci si sposta e ci si allontana, il cavallo segue; questo momento è chiamato da Roberts Follow-Up, cioè «Seguimi». Si può tranquillamente camminare a zig-zag, fare una serpentina all’interno del tondino, e il cavallo è felice di seguire, rimanendo sempre attaccato alle spalle. Ci si ferma e con calma gli si fa ancora qualche carezzina, per consolidare ancor più il rapporto. Si deve guadagnare la sua fiducia, dimostrargli che non si è un predatore e per far ciò gli si massaggia con entrambe le mani quelle zone che sono normalmente attaccate dai predatori cioè la schiena e i morbidi fianchi. Lo si accarezza, e gli si dà una lisciatina, perché si renda conto che non si ha intenzione di fargli alcun male. Confessa Roberts che può capitare qualche volta che il cavallo non sia pronto a scegliere e decida di scappare di nuovo; si è così costretti a ricominciare da capo. Roberts spiega che il Join-Up prevede una successione di fasi precisa in cui si induce il cavallo ad allontanarsi, poi ad avvicinarsi, poi a realizzarsi un contatto e infine un’associazione, quindi sembra trascurare l’effetto di coercizione dovuto al fatto di trovarsi nel tondino e ciò lo porta ad affermare: «Quello che c’è di particolare nel mio sistema è il riconoscimento di un linguaggio di comunicazione fra cavalli… Non voglio vantarmi, né tanto meno che si pensi che ho inventato qualcosa. Io ho solo scoperto quello che la natura aveva già fatto, una lingua e il modo di capire come due specie diverse possono andare d’accordo, senza violenza».