L’allevamento cavalli ha rappresentato un’attività fondamentale sin dall’antichità, tanto per i piccoli proprietari rurali quanto per i grandi allevatori aristocratici. Se da un lato i contadini avevano bisogno di attuare la riproduzione equina per rinnovare le proprie mandrie e sostenere le attività agricole, dall’altro le élite investivano ingenti somme nella selezione e nella creazione di cavalli da corsa e da guerra. Tuttavia, a causa degli elevati costi di mantenimento e selezione, l’allevamento rimase a lungo un privilegio riservato ai più ricchi.
Per ottenere esemplari di qualità, sia i Greci che i Romani organizzarono delle vere e proprie stazioni di monta equina, luoghi specializzati dove stalloni e fattrici venivano selezionati con estrema cura. Questi centri, spesso di proprietà di nobili e famiglie potenti, garantivano una produzione sistematica di cavalli destinati non solo all’uso privato, ma anche alla vendita. Come osservava Aristotele, l’allevamento di cavalli era “un’attività da ricchi”, e per questo le famiglie più influenti non esitavano a investire grandi capitali per migliorare la qualità dei loro animali.
Uno degli obiettivi principali di queste strutture era quello di ottenere cavalli da corsa altamente competitivi. Senofonte, celebre scrittore greco, sottolineava che la più prestigiosa delle occupazioni era proprio l’allevamento di cavalli da corsa per i giochi pubblici, una passione che spesso portava i proprietari a indebitarsi pur di possedere esemplari imbattibili.
Durante l’Impero Romano, alcune stazioni di monta equina raggiunsero una fama straordinaria. Tra le più rinomate si ricordano quelle della Spagna, i cui cavalli venivano persino trasportati via mare fino ad Antiochia per competizioni e spettacoli a Roma. Mosaici ritrovati in Africa testimoniano l’esistenza di importanti centri di allevamento come quello dei Bagni di Pompeiano nella zona di Cirta, dove si allevavano cavalli con tecniche avanzate.
Questi allevamenti non servivano solo al commercio: con il tempo, alcune stazioni divennero proprietà imperiali. Due esempi notevoli sono le stazioni di Palmazio ed Ermogene in Asia Minore, che producevano esclusivamente per l’imperatore. I cavalli allevati in queste strutture erano così preziosi da essere marchiati per garantirne l’autenticità.
Oltre alla loro funzione pratica, i cavalli rivestivano un importante valore simbolico e sociale. Gli esemplari di maggiore prestigio erano spesso decorati con gualdrappe ricamate e iscrizioni che ne indicavano la discendenza o il proprietario. Il marchio a fuoco sulla groppa era un segno distintivo degli allevamenti più celebri, una pratica simile a quella utilizzata oggi per certificare la purezza di alcune razze.
Anche i mosaici dell’epoca ci offrono testimonianze visive straordinarie. A Adrumeto (Susa), un mosaico rappresenta giumente e puledri che vagano liberamente, mentre alcuni cavalli portano nomi distintivi come Amor, Dominator, Ferox, Adorandus e Pegasus. Nell’allevamento di Pompeiano, un altro mosaico raffigura un cavallo con un’affettuosa iscrizione: “Che tu vinca oppure no, noi ti amiamo, Polidox”.
L’allevamento cavalli nell’antichità non era solo una necessità economica, ma anche un simbolo di potere e prestigio. Dalle piccole realtà rurali alle grandi stazioni di monta equina, questa pratica ha influenzato la società antica e ha lasciato tracce indelebili nella storia. Le testimonianze artistiche e le fonti storiche confermano che, anche allora, allevare e possedere i migliori cavalli era un segno distintivo delle élite.
Fonte: Paul Vigneron, Il cavallo nell’antichità, SugarCo Edizioni, 1987, pp. 44-46
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