[…]Era già da un po’ che se ne dibatteva, ma fu esattamente dal settembre del 1904 che a Berlino Hans, detto Clever (l’intelligente), diede il via ad una delle più accese controversie scientifiche dell’epoca, e non solo in Germania. Secondo il suo proprietario, quel cavallo, usando lo zoccolo di una sua zampa anteriore, sapeva rispondere correttamente a problemi aritmetici complessi, riconoscere le carte da gioco, comporre le lettere di una parola, indicare la data del giorno…Si trattava di una truffa? Di una scoperta rivoluzionaria sull’intelligenza animale? O Forse Hans aveva insospettate capacità telepatiche? Fu nominata una commissione di esperti e, in un primo tempo, gli vennero effettivamente riconosciute straordinarie capacità intellettive. D’altronde l’animale sapeva risolvere i problemi perfino in assenza del suo proprietario-addestratore. Uno scienziato, Oskar Pfungst, però non si arrese e finì col dimostrare che Hans rispondeva correttamente solo se tra le persone presenti ce n’era almeno una che conosceva la soluzione. Altrimenti batteva la zoccolo a casaccio. Un vero disastro. Risultò in definitiva che l’animale aveva una sensibilità straordinaria, tale da percepire minimi segnali inconsciamente emessi da quella persona. Movimenti del capo o degli occhi, modificazioni del respiro…cose così. Niente calcoli complicati, nessuna capacità di linguaggio. Il fatto è che certi animali, semplicemente, sanno cogliere segnali per noi impercettibili che poi, intelligentemente, trasformano in istruzioni. Un autoaddestramento che può avvenire, e questo era il caso di Hans, senza la complicità del proprietario. Una scoperta, ho detto, che ha lasciato il segno; ne ha lasciati, in realtà, più d’uno.
Il primo, d’ordine applicativo, è la rivoluzione, ancora in corso, nel modo di domare i cavalli. Da sempre questi animali vengono soggiogati trattandoli duramente, diciamo pure con una certa crudeltà. Si ottiene così la loro sottomissione: si sono arresi e, abtorto collo, fanno quello che gli si chiede. Il trattamento, però, spegne, almeno per un po’, la loro intelligenza e la loro volontà coopertaiva. Sussurrando ai cavalli (come nel film e nell’altrettanto famoso libro), ossia ben dosando l’indispensabile autorità con dolcezza, è invece possibile ottenere molto di più. Mi viene in mente, al proposito, quanto scrissero Peter e Mary Medewar, due grandi biologi: «La proverbiale cocciutaggine di cavalli, asini e muli non va attribuita a niente di più profondo del loro uso da parte di persone insensibili agli animali e indifferenti al loro benessere». C’è molta verità in questa semplice frase.[…] È possibile sviluppare molti ragionamenti sulla strana storia di Hans. Soprattutto interessante è un’ipotesi interpretativa, parzialmente alternativa, divertente per la sua verosimiglianza. Nasce dal fatto che attualmente si sa, presto lo scopriremo, che certi mammiferi e uccelli possiedono una primitiva abilità matematica. Finché si sta sotto la decina se la cavano piuttosto bene: sanno contare e imparano a fare qualche piccolo calcolo. Non è perciò improbabile (per la verità ci aveva già pensato Oskar Pfungst) che Hans, all’inizio, rispondesse correttamente perché effettivamente sapeva un po’ contare e calcolare; che poi, però, avesse trovato più comodo o, per meglio dire, più intelligente, «leggere i segni». Chiaro: a quel punto era lo stesso rispondere a quesiti semplici, alla sua portata, oppure estremamente difficili, come fare radici quadrate o risolvere equazioni. D’altronde, non abbiamo disimparato anche noi, che proprio scemi non siamo, a far di conto da quando hanno inventato le calcolatrici?
Danilo Mainardi, Nella mente degli animali, Edizioni Mondolibri, 2006 p. 75-78.
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