I cavalli furono addomesticati intorno al IV secolo a.C., e sin dall’antichità i cavalieri usavano calzature o protezioni per proteggere le loro gambe. Nessun testo menziona con certezza l’uso di stivali nell’antichità da parte dei cavalieri.
Tuttavia Erodoto parla di stivali alti e ampi. Probabilmente erano così bizzarri che lo storico greco li definisce come “utili a un avaro per nascondere oro al loro interno”. I soldati di Serse indossavano fasce da polpaccio. Mentre i cacciatori usavano pezzi di metallo per proteggere le gambe.
Senofonte, nel suo trattato “sull’equitazione”, descrive l’equipaggiamento ideale per un guerriero a cavallo. In un passaggio suggerisce l’uso di stivali di cuoio per proteggere le gambe e i piedi. Tutttavia, non specifica se siano specificatamente adatti per l’equitazione.
piedi e caviglie del cavaliere sporgeranno ovviamente al di sotto dei cosciali, ma si potranno armare anch’essi se gli stivali sino di quel cuoio con cui si fanno le suole delle scarpe: avremo così nello stesso tempo un’armatura per la caviglia e una calzatura per il piede.
Una sorta di gambiera non dissimile da quella portata dai cavalleggeri o dalle voloire dell’esercito italiano alla seconda guerra mondiale, o forse un vero e proprio stivale. Evidentemente la pelle usata per le calzature normali era molto più sottile.
Svetonio menziona le “scarpe da esploratore”. Tuttavia, non indica se l’esploratore si trovi a piedi o a cavallo. Inoltre, Orazio deride un cacciatore di cinghiali che indossa gambali nella neve di Lucania, suggerendo che la loro utilità in quella situazione sia limitata.
Molti dei cavalieri rappresentati sul fregio del Partenone sembrano indossare stivali molto morbidi. Sembra che la loro forma si adatti perfettamente alla al piede e alla gamba, arrivando fino sopra il polpaccio, come se fossero delle calze. Lo stesso tipo di calzature viene indossato da alcuni cavalieri romani rappresentati sulla Colonna di Traiano.
In un mosaico africano, un cavaliere romano che va a caccia ha le gambe coperte fino al ginocchio da corregge intrecciate. Alcuni cavalieri barbari invece indossavano scarpe basse o cinghie dei sandali che si adattavano alle loro gambe coperte dai pantaloni lunghi che arrivavano fino alla caviglia.
Nella maggior parte dei casi, i cavalieri antichi non avevano i polpacci coperti dalle calzature. Quando non era raffigurato completamente nudo o appena vestito per convenzione artistica, il cavaliere indossava semplici sandali o stivaletti che non differivano dalle scarpe comuni dei pedoni. Questi tipi di calzature erano utilizzati dal cavaliere per camminare a terra, ma erano troppo basse per coprire il ruolo degli stivali moderni.
Questa mancanza di stivali può essere spiegata dal fatto che solo i cavalieri dotati di staffa erano costretti ad indossarli insieme ai gambali. Infatti, a ogni andatura, la faccia interna dei polpacci del cavaliere sfregava continuamente contro i fianchi del cavallo, causando fastidio soprattutto a causa delle larghe cinghie di cuoio — gli staffili — alle quali sono appese le staffe.
Al contrario, il cavaliere antico, che cavalcava senza staffe, non aveva alcun bisogno di indossare gli stivali. Nel suo caso, le cosce e le ginocchia erano a stretto contatto con il cavallo, mentre le gambe pendevano liberamente lungo i fianchi.
In conclusione, non esiste una risposta definitiva sull’uso di stivali nell’antichità. Molti testi antichi fanno riferimento a calzature e protezioni per le gambe, ma non è chiaro se queste fossero adatte all’equitazione o se fossero utilizzate solo a piedi. Rappresentazioni artistiche di cavalieri antichi suggeriscono che in molti casi non indossavano stivali, ma solo sandali o stivaletti.
Tuttavia, ci sono alcuni riferimenti a stivali o calzature simili a stivali, come quelli descritti da Senofonte. È possibile che l’uso di stivali nell’antichità fosse limitato solo ai cavalieri dotati di staffa, a causa del fastidio causato dalle larghe cinghie alle quali sono appese le staffe. In ogni caso, l’uso di stivali nell’antichità da parte dei cavalieri rimane un argomento di dibattito tra gli studiosi.
Fonti:
Senofonte, sull’equitazione, edizioni equestri, Milano, 1990, p. 33.
Paul Vigneron, Il cavallo nell’antichità, sugarCo edizioni, Milano, pp. 114-115.
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