L’equitazione richiede delle qualità che vanno oltre l’apprendimento di nozioni e tecniche. Il cavaliere deve capire che nel momento in cui monta a cavallo diventa anche “addestratore”, che lo voglia oppure no. Perché anche se ritiene che non sta insegnando nulla al cavallo, probabilmente il cavallo sta imparando qualche brutta abitudine.
Sento spesso la gente dire: “Ma io non voglio imparare ad andare a cavallo, voglio solo fare una passeggiata tranquilla”. Oppure, nel migliore dei casi, chiedono: “Da quante lezioni è composto un corso di equitazione? Non voglio imparare ad addestrare un cavallo. Voglio solo imparare quanto basta per gestire un cavallo mio”.
Tralasciando l’assurdità delle due affermazioni. Mi portano a fare due considerazioni. La prima è che la passeggiata non è la “sorella povera” dell’equitazione. Anche per fare un’uscita tranquilla il cavaliere deve sapersi muovere su terreni diversi e irregolari con piccole insidie come pietre, piccole buche o gobbe nascoste dall’erba. Deve sapere cosa sono gli aiuti e usarli in modo coerente e fluido. Deve avere un buon equilibrio. La sicurezza e la fiducia tra cavallo e cavaliere devono essere reciproche. Inoltre, un campo aperto sottopone il binomio a molti stimoli e imprevisti. Quante lezioni potrebbero servire per imparare tutto ciò?!!?
La seconda, ma non meno importante, considerazione è che, in realtà, che vi piaccia o no, ogni cavaliere/proprietario è “addestratore” del proprio cavallo. Quando sei in sella, anche se ritieni che non stai insegnando nulla di nuovo o migliore al cavallo, probabilmente il cavallo sta imparando qualche brutta abitudine.
Ed è questo il motivo di così tanti cavalli viziati. Non ci vuole molto perché alcuni cavalli acquisiscano un vizio. Ecco che ci sono cavalli che mordono, scalciano, si fermano e non avanzano, abbassano la testa così da far perdere di mano le redini. E ancora, cavalli che si impennano, indietreggiano, che non restano legati.
I cavalli fanno (o non fanno) tutte queste cose perché possono e gli è stato permesso. Lo fanno semplicemente perché un cavaliere/proprietario non si è corretto o non li ha corretti quando hanno provato a mettere in atto il primo comportamento.
Se un cavallo abbassa la testa e fa perdere di mano le redini, il cavaliere dovrebbe prima di tutto determinare se è lui il problema. È aggrappato alle redini o le tira in continuazione? Oppure, il cavallo è fuori equilibrio? Solo se il cavallo non ha una ragione “reale” per il suo comportamento, allora il cavaliere deve avere la conoscenza, la sensibilità e i mezzi per correggere quell’azione.
Ed è questo che intendeva il mio istruttore, Lucio Cetra, quando mi diceva “l’equitazione non è per tutti”. Non si riferiva all’aspetto puramente economico (come all’inizio ingenuamente pensavo). Si riferiva al fatto che un cavaliere portato per questo sport sa “sentire” il cavallo. Sa “ascoltare” il cavallo. È in grado di “leggere e interpretare” i suoi comportamenti, prima ancora che un osservatore li veda. Addirittura prima che il cavallo traduca la sua intenzione in azione.
Ogni cavaliere deve sapere che qualunque cosa un cavallo è autorizzato a fare è ciò che si sta addestrando quel cavallo a fare.
D’altra parte, ogni cavaliere deve essere giusto. I cavalieri dovrebbero chiedere al cavallo di fare solo ciò che è pronto e in grado di fare. Le aspettative non devono superare la preparazione mentale o fisica del cavallo. Se un cavaliere vuole risposte ragionevoli, deve fare richieste ragionevoli e il cavallo deve essere pronto e capace di svolgere quel particolare lavoro. In altre parole, non chiedere a un cavallo di fare qualcosa per cui non lo hai preparato e per cui non hai il tempo, la capacità e la piena intenzione di fare.
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