Imparare a instaurare un dialogo con il cavallo e capire la sua natura è l’unico modo per avviare un rapporto naturale basato sulla fiducia reciproca.
Dalla necessità di instaurare un dialogo con il cavallo allo scopo di avviare un rapporto naturale è nata la tecnica di Pat Parelli che nei suoi venticinque anni di esperienza come addestratore, si è reso conto che cercare di capire i cavalli facilitava il lavoro; affermava anche che la comprensione non poteva avvenire se prima non si aveva un buon controllo di se stessi, a tutti i livelli, mentale, emotivo e fisico.
Secondo Pat Parelli non basta lavorare un cavallo per renderlo mansueto e sensibile se poi chi lo monterà non riuscirà a stabilire un rapporto di partnership, e quindi a ottenere fiducia e rispetto. Il suo programma insegna a pensare come un cavallo e quindi a comunicare con lui. Per questo ritiene che un natural horseman debba possedere innanzitutto una vera conoscenza del cavallo che si ottiene con amore, rispetto, impulso, flessione e versatilità.
Parelli ritiene che se il cavallo ci percepisce come un predatore, avrà dei riflessi difensivi che si manifesteranno con diverse reazioni: non si farà prendere, calcerà, morderà, sarà restio o dimostrerà delle resistenze specifiche quando sarà montato. In genere queste reazioni vengono attribuite ad un carattere viziato o difficile, in realtà sono solo segnali di autodifesa e di paura. I cavalli sono animali da branco con un grande bisogno di ordine sociale; lottano tra loro per stabilire chi è il cavallo più forte, più resistente, più veloce e più coraggioso. Anche nei confronti dell’uomo vengono attuati gli schemi della dominanza nel momento in cui entra nel loro spazio vitale; quindi ci si può aspettare da parte loro il tentativo di dominare la situazione per questo motivo l’addestratore, deve assumere il ruolo di capobranco semplicemente imparando a pensare come un cavallo, e a non reagire come un predatore.
Il metodo di Equitazione Naturale Parelli mira ad instaurare un vero rapporto di partnership prima da terra e solo in un secondo momento, quando si è stabilita una vera comunicazione con il cavallo, con la sella. Si tratta di un programma che richiede sei “chiavi”: atteggiamento, conoscenza, tecnica, equipaggiamento, tempo, fantasia.
“L’atteggiamento” fa sì che le azioni nei confronti del cavallo dipendano dal fatto che ha rilevanza il suo naturale punto di vista; la “conoscenza” fa sapere come pensa il cavallo e, quando si tratta con lui, porta a smettere di pensare come pensano gli umani; la “tecnica” fa acquisire le tecniche naturali per far muovere, girare e fermare il cavallo. L’uso delle gambe per partire o accelerare e l’uso delle redini per fermare o girare, sono inutili; “l’equipaggiamento” deve essere ridotto e si deve lavorare il più possibile in maniera naturale; il “tempo” deve essere quello necessario: se nel lavoro con il cavallo si prende il tempo che ci vuole, si impiegherà meno tempo; (la gente che ha fretta, non ha tempo di fare le cose bene ma di rifarle più volte); la “fantasia” va usata come si faceva da bambini, per inventare, sulla base di ciò che si sa del cavallo, sempre nuovi modi per farsi comprendere da lui.
La tecnica prevede l’esecuzione di sette giochi che si basano sulla logica delle prede e sono gli stessi giochi che i cavalli fanno tra loro per stabilire la scala gerarchica nel branco; così l’uomo imitando questi movimenti impara innanzitutto – sostiene Parelli – a pensare come un cavallo comprendendo il suo linguaggio del corpo, inoltre migliora la comunicazione guadagnandosi la fiducia e il rispetto del cavallo «fino a instaurare una vera relazione tra partner». I giochi sono: il gioco dell’amicizia, il gioco del porcospino, il gioco della guida, il gioco dello yo-yo, il gioco del cerchio, il gioco del movimento laterale, il gioco della strettoia. Si giocano tenendo conto che il cavallo ha sette zone: cinque fisiche (tra naso e coda), una sensibile (dalle narici a sopra le orecchie) e una personale che gira tutta attorno all’animale. Queste zone vengono stimolate singolarmente, o più alla volta con lo sguardo e le carezze, con la pressione costante, con quella ritmica della mano, o con una lunghina. Così, ad esempio, nel “gioco dell’amicizia” l’uomo, imitando i movimenti dei cavalli al pascolo che si mordicchiano la criniera oppure ritmicamente si scacciano le mosche, lo accarezza anche con oggetti come sacchetti di plastica o finimenti; mantenendo costante il ritmo dei gesti farà capire al cavallo che tali gesti non sono minacciosi e lo farà restare fermo e quieto. Il “gioco del porcospino” riproduce i gesti che il cavallo riceveva dalla madre.
Secondo Pat Parelli non basta lavorare un cavallo per renderlo mansueto e sensibile se poi chi lo monterà non riuscirà a stabilire un rapporto di partnership, e quindi a ottenere fiducia e rispetto. Il suo programma insegna a pensare come un cavallo e quindi a comunicare con lui. Per questo ritiene che un natural horseman debba possedere innanzitutto una vera conoscenza del cavallo che si ottiene con amore, rispetto, impulso, flessione e versatilità.
Parelli ritiene che se il cavallo ci percepisce come un predatore, avrà dei riflessi difensivi che si manifesteranno con diverse reazioni: non si farà prendere, calcerà, morderà, sarà restio o dimostrerà delle resistenze specifiche quando sarà montato. In genere queste reazioni vengono attribuite ad un carattere viziato o difficile, in realtà sono solo segnali di autodifesa e di paura. I cavalli sono animali da branco con un grande bisogno di ordine sociale; lottano tra loro per stabilire chi è il cavallo più forte, più resistente, più veloce e più coraggioso. Anche nei confronti dell’uomo vengono attuati gli schemi della dominanza nel momento in cui entra nel loro spazio vitale; quindi ci si può aspettare da parte loro il tentativo di dominare la situazione per questo motivo l’addestratore, deve assumere il ruolo di capobranco semplicemente imparando a pensare come un cavallo, e a non reagire come un predatore.
Il metodo di Equitazione Naturale Parelli mira ad instaurare un vero rapporto di partnership prima da terra e solo in un secondo momento, quando si è stabilita una vera comunicazione con il cavallo, con la sella. Si tratta di un programma che richiede sei “chiavi”: atteggiamento, conoscenza, tecnica, equipaggiamento, tempo, fantasia.
“L’atteggiamento” fa sì che le azioni nei confronti del cavallo dipendano dal fatto che ha rilevanza il suo naturale punto di vista; la “conoscenza” fa sapere come pensa il cavallo e, quando si tratta con lui, porta a smettere di pensare come pensano gli umani; la “tecnica” fa acquisire le tecniche naturali per far muovere, girare e fermare il cavallo. L’uso delle gambe per partire o accelerare e l’uso delle redini per fermare o girare, sono inutili; “l’equipaggiamento” deve essere ridotto e si deve lavorare il più possibile in maniera naturale; il “tempo” deve essere quello necessario: se nel lavoro con il cavallo si prende il tempo che ci vuole, si impiegherà meno tempo; (la gente che ha fretta, non ha tempo di fare le cose bene ma di rifarle più volte); la “fantasia” va usata come si faceva da bambini, per inventare, sulla base di ciò che si sa del cavallo, sempre nuovi modi per farsi comprendere da lui.
La tecnica prevede l’esecuzione di sette giochi che si basano sulla logica delle prede e sono gli stessi giochi che i cavalli fanno tra loro per stabilire la scala gerarchica nel branco; così l’uomo imitando questi movimenti impara innanzitutto – sostiene Parelli – a pensare come un cavallo comprendendo il suo linguaggio del corpo, inoltre migliora la comunicazione guadagnandosi la fiducia e il rispetto del cavallo «fino a instaurare una vera relazione tra partner». I giochi sono: il gioco dell’amicizia, il gioco del porcospino, il gioco della guida, il gioco dello yo-yo, il gioco del cerchio, il gioco del movimento laterale, il gioco della strettoia. Si giocano tenendo conto che il cavallo ha sette zone: cinque fisiche (tra naso e coda), una sensibile (dalle narici a sopra le orecchie) e una personale che gira tutta attorno all’animale. Queste zone vengono stimolate singolarmente, o più alla volta con lo sguardo e le carezze, con la pressione costante, con quella ritmica della mano, o con una lunghina. Così, ad esempio, nel “gioco dell’amicizia” l’uomo, imitando i movimenti dei cavalli al pascolo che si mordicchiano la criniera oppure ritmicamente si scacciano le mosche, lo accarezza anche con oggetti come sacchetti di plastica o finimenti; mantenendo costante il ritmo dei gesti farà capire al cavallo che tali gesti non sono minacciosi e lo farà restare fermo e quieto. Il “gioco del porcospino” riproduce i gesti che il cavallo riceveva dalla madre.