Ottimismo e simpatia. E l’uomo è a cavallo
Doma etologica: stimoli invece che ordini di DANILO MAINARDI
La doma dei cavalli è pratica antichissima, essenziale perché i fieri animali possano corrispondere alle tante necessità dell’uomo. Da quando li addomesticò migliaia di anni fa, la nostra specie contò infatti su di loro per viaggiare rapidamente, per il trasporto di merci, per le pratiche agricole, per le battaglie. I cavalli furono inoltre simboli importanti di stato sociale. Basta pensare ai monumenti equestri presenti in molte piazze. La doma pertanto è sempre stata, nei millenni, duramente coercitiva. Ha sempre mirato, per dirla con parole semplici, a «tener sotto» il cavallo, che doveva innanzitutto comprendere il ruolo fortemente predominante del suo cavaliere. E pensare che ogni cavallo, prima d’incappare in quella dura lezione, è per sua natura un animale libero, giocosamente scatenato, appunto indomito. Perciò la doma è sempre stata connotata da un po’ (o da molta) crudeltà. Un’operazione da cui l’animale rischiava di uscire non solo frastornato, ma anche umiliato e tendenzialmente spaventato.
Poi qualcosa è cambiato. Da una ventina d’anni è infatti comparso un modo nuovo d’interazione tra l’uomo e il cavallo. Un modo ove prendono consistenza concetti come la collaborazione partecipativa (da parte dell’animale) e insieme l’attenzione per l’altrui sensibilità e intelligenza (da parte dell’uomo). Questa piccola rivoluzione che è nota al grande pubblico soprattutto grazie a «L’uomo che sussurrava ai cavalli», che fu prima un libro e poi anche un film, in ogni caso di grande successo. Ambedue le opere erano ispirate, in modo un po’ romanzato, all’innovativo approccio dell’americano Monty Roberts, che negli anni 90 presentò con successo il suo metodo di doma (se ancora vogliamo chiamarlo così) etologica.
Quanto fin qui tratteggiato rappresenta in modo necessariamente semplificato la storia dell’evoluzione della doma negli ultimi decenni. In realtà esistono, all’interno delle due grandi alternative, tradizionale ed etologica, vari modi per domare i cavalli. E c’è anche da dire che, sull’onda di varie esperienze empiriche più o meno connotate di scientificità, sono soprattutto comparse «ricette» di doma etologica, la più moderna, la più attuale.
E in questo panorama piuttosto vago, seppure fondamentalmente positivo, che meritano attenzione due ricette appena pubblicate sugli Atti della società italiana di fisiologia veterinaria da ricercatori (C. Mariti, P. Baragli, F. De Giorgio, A. Gazzanò, C. Basile e C. Sighieri) dell’università di Pisa e della scuola Horse & Dog di Roma. Ricerche mirate a valutare, con strumenti di tipo fisiologico e comportamentale, l’influenza di due diversi metodi di doma, l’uno tradizionale e l’altro etologico, sul comportamento dei cavalli.
È risultato, in estrema sintesi, che l’approccio non traumatico della doma etologica influenza positivamente il comportamento dei cavalli nei confronti degli esseri umani, mentre la paura indotta dal metodo tradizionale ha ripercussioni fortemente negative sul loro benessere, sulla salute e persino sulla riproduzione. I cavalli domati con dolcezza, in pratica, instaurano con l’uomo rapporti basati sulla fiducia, sul rispetto e sulla collaborazione piuttosto che sulla costrizione. E questo è un vero importante avanzamento nel rapporto tra le due specie. Al proposito gli autori scrivono: «È nostra opinione che, durante la fase di addestramento/doma, mantenere in un cavallo un alto livello di motivazione all’attenzione, all’investigazione, alla curiosità, alla voglia di conoscere nei riguardi dell’addestratore, rappresenti il modo per far sì che il cavallo maturi una visione più “positiva” ed “ottimista” nella valutazione degli stimoli che gli sono proposti nel proseguo del rapporto con l’uomo». Un bell’esempio, a mio parere, di etologia applicata, anche perché il tutto avviene, indubbiamente, con soddisfazione reciproca delle due parti in causa.